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08.11.2014 20:15

Non è un caso se i Racconti Perduti e I Figli di Húrin  sono definiti lai, parola antica che ricorda il Medioevo francese e le sue poesie ma anche la Grecia epica con i lamenti delle sue donne e dei suoi poeti.
Perchè lai vuol dire proprio questo: lamenti.

Ed è proprio un lamento ad essere narrato nella storia di Húrin e dei suoi figli maledetti, un lamento antico e una lotta eterna. C'è qualcosa, e non poco, di sofocleo nella tragedia di Túrin, per esempio l'ineluttabilità del destino che lo renderà: T úrin Turambar turún'ambartanen. Túrin padrone del destino e dal destino dominato.

Proprio come l'Edipo di Sofocle che indaga nel nome del bene senza sapere di essere lui stesso il male, Túrin combatte i nemici attirando sempre maggiori disgrazie su se stesso e i suoi cari.
Entrambi sono uomini buoni, sono i loro padri ad aver offeso gli dèi, eppure la greca maledizione del
γένος rovina la loro vita senza via di scampo.
E solo la loro morte, o forse nemmeno quella, placherà l'ira divina.

All'inizio della narrazione la Terra di Mezzo sta per vivere uno dei giorni più oscuri della sua storia: la Nirnaeth Arnoediad, la battaglia delle innumerevoli lacrime.
T
úrin è ancora bambino e, con sua madre Morwen Eledhwen, guarderà il padre andar via. Per poi non ritornare fino alla fine.
Húrin, con il fratello Huor, il più valoroso degli uomini, porterà la sua gente a combattere al fianco degli elfi contro Morgoth il Vala.
Non morirà
, Morgoth ha in serbo un destino peggiore per lui: dato che è troppo leale per unirsi alla schiera nemica, resterà incatenato ad Angbad, costretto a vedere, con gli occhi distorcenti di Morgoth, la fine della sua stirpe.
E solo quando un pietra sarà sopra i suoi figli, potrà recarsi ad essa, in tempo per vedere un'ultima volta sua moglie, prima che anche lei muoia.

E così si conclude il più lungo dei lai della Terra di Mezzo. Ma con una promessa: Aure entuluvo! Il giorno risorgerà!

03.11.2014 18:32

C'è un passo di una lettera di Machiavelli che mi ha molto colpita.
Sono sicura che questa lettera sia un documento di grande valore letterario, storico e filosofico, ma quello che la rende speciale per me è un "dettaglio".

"Venuta la sera, mi ritorno in casa, ed entro nel mio scrittoio; ed in sull'uscio mi spoglio quella vesta cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente entro nelle antique corti degli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio, e ch'io naqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro, e domandoli della ragione delle loro actioni, e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi trasferisco in loro."

Machiavelli in queste righe meravigliose racconta il suo tuffo nei libri, la sua gioia.
Chi più di me può capirlo?

Quante volte mi sono chiesta perchè non riuscissi ad essere completamente me stessa se non con un libro sotto gli occhi?

Ed in queste parole sincere ho trovato la mia risposta.

Credo che la vita sia una specie di pausa tra una lettura e l'altra. Perchè qualche volta non mi importa di niente, nemmeno dei miei amici, e vorrei solo essere tra i miei libri e leggere, per trovare tutte le risposte alle domande che ho il coraggio di porre solo ai libri.

 

25.10.2014 10:13

Fino a qualche anno fa uscivo davvero poco da casa, ncora meno che adesso.Ma amicii e parenti sapevano del mio amore per la lettura e a Natale e compleanno (qualche volta anche a Pasqua) mi regalavano un sacco di libri.
In quanto lettrice accanita finivo i libri in regalo in brevissimo tempo e fino alla festività successiva non potevo far altro che rileggere e rileggere ancora.

Ora le cose sono cambiate.

E' cambiato il genere di libri che leggo, certo, ma soprattutto è cambiata la frequenza con cui acquisto o ricevo libri.

Un paio di giorni fa, per esempio, ho comprato tre libroni pur sapendo che a casa mi aspettava un'interra mensola piena zeppa di volumi più o meno pesanti (fisicamente ed intellettualmente) desiderosi di essere letti.
E so che se domani mi trovassi in una libreria non resisterei e ne comprerei altri.

E' qualcosa di patologico!

Un'ansia terribile di non trovare il tempo di leggere tutti i libri che ho in casa.

Non riuscire a decidere quale libro leggere prima e quale dopo.

Sto perdendo il piacere della rilettura, ogni volta che vorrei rileggere qualcosa peso che se lo facessi perderei tempo per i tanti libri che non ho mai letto.
Non è giusto perchè leggere dovrebbe essere un piacere, un momento per stare con sè stessi, non una corsa contro il tempo.

A volte mi viene voglia di perdere tempo. Di mettermi sul letto e leggere un libro a caso.

Poi sono felice.

19.10.2014 13:19

Premettendo che non sono laureata in lettere classiche, anzi che sono ancora nel bel mezzo del liceo, questo mese vorrei parlare di Catullo.
Senza pretendere di dire qualcosa di speciale, di cui critici di ogni livello avranno già sicuramente discusso in più di duemila anni, scriverò le mie impressioni su questo poeta, vittima d'amore, che meglio di quasi tutti gli altri ha trasformato i suoi sentimenti in versi.
Che poi l'ho sempre detto che vale la pena di studiare un po' di latino anche solo per leggere Ovidio e Catullo.

Catullo mi ha colpita così tanto perchè ha sofferto terribili pene d'amore ma non ha mai smesso di amare: ogni volta si rirpometteva di non cascarci più ed invece un attimo dopo era già al punto di partenza.
Perchè lui Lesbia l'ha amata con corpo ed anima mentre per lei non è stato altro che una storia passeggera...
Lui ha riposto in lei non solo il suo amore ma anche i suoi ideali, le ha dedicato le sue poesie più belle senza che lei lo ringraziasse mai sinceramente.
Ma lui ci credeva.
Certo, c'era un Catullo razionale che avrebbe voluto smettere, a cui queste prese in giro non bastavano, ma non aveva la forza per vivere senza di lei.

Catullo mi piace perchè ha perso in amore ma ha continuato a crederci sempre e, a parer mio, ha raccolto i frutti più dolci che la sua relazione clandestina potesse dare: gli incantati ed incantevoli versi del suo Liber che, se è possibile, lo rendono pari a un dio.
Un dio capace di spiegare l'amore, un amore vero, un amore triste.

13.10.2014 21:39

O falce di luna calante
che brilli su l’acque deserte,
o falce d’argento, qual mèsse di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!

Aneliti brevi di foglie,
sospiri di fiori dal bosco
esalano al mare: non canto non grido
non suono pe ’l vasto silenzio va.

Oppresso d’amor, di piacere,
il popol de’ vivi s’addorme...
O falce calante, qual mèsse di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!

 

G. D'annunzio

05.10.2014 14:58

Il mese di ottobre si apre con una lettura insolita, infatti il libro che mi illumina in questo periodo è un saggio, più precisamente Il Cortigiano e l’Eretico. Liebniz, Spinoza e il destino di Dio nel mondo moderno. di M.Stewart

E’ il primo saggio di filosofia che leggo, ma non credo che sarà l’ultimo.
Sarà che l’argomento mi attira, che non mi bastano le tre ore settimanali di filosofia a scuola, che ho letto una recensione molto positiva di Baricco riguardo a questo libro…
Sta di fatto che questo saggio si sta sgualcendo sempre di più tra le mie mani, mentre leggo e rileggo i passaggi complicati o quelli più avvincenti, senza fare caso a come le mie mani stringano e pieghino il volume.
Mi sta coinvolgendo intellettualmente ed emotivamente.
Non solo tratta un tema interessantissimo, ma lo fa anche con una scrittura piacevole ed incalzante.
L’alternarsi dei capitoli, l’uno dedicato al filosofo olandese, l’altro a quello tedesco, rende un confronto ed una riflessione più agevoli.

Qualche difetto c’è però, in questo saggio…
Lo scrittore non è imparziale come dovrebbe essere chi mette razionalmente a confronto due figure.
Ma il fatto che questa preferenza per Spinoza sia così marcata è riuscita a turbarmi meno di quanto avrebbe fatto se fosse stata mascherata.

Cerco di spiegarmi: dopo una sessantina di pagine è ormai palese come i difetti di Liebniz vengano sottolineati mentre quelli di Spinoza sono sminuiti o giustificati.
E’ così evidente che qualsiasi lettore può facilmente filtrare le informazioni senza sentirsi ingannato.

Per quanto riguarda la filosofia dei due personaggi credo sia illustrata magistralmente, in modo comprensibile anche a chi non è esperto in materia. Il pensiero dei due filosofi viene contestualizzato non solo nella loro epoca e nel loro stato, ma nella loro vita, sin dalla nascita, e nella loro crescita, come uomini e pensatori che hanno cambiato il loro mondo e il modo del mondo di vedere la religione.

 

28.09.2014 15:49

Non tutti sono accaniti lettori ma molti, se ricevono un buon incentivo, uno spunto che li convinca, non si tirano indietro davanti a una buona lettura.
Io credo che le antologie scolastiche siano questo: un punto di partenza per la conoscenza di un autore o un libro in particolare. Anche solo di una poesia. Ogni tanto anche di qualche quadro o film.
I libri scolastici di questo tipo, che personalmente ritengo più preziosi degli altri, contengono un sacco di altri libri ed opere e hanno il compito di convincere anche i più reticenti a leggere.
Sono convinta che se un ragazzo o una ragazza sfogliando il libro di italiano (o di qualsiasi lingua), pur non intressandosi alla materia, trovasse un brano e se ne appassionasse a tal punto da comprare il libro da cui è tratto, e poi magari le altre opere dello stesso autore o dello stesso genere, ci sarebbe una conquista da festeggiare quanto, se non più, una buona media nella materia di studio.
La antologie scolastiche, assieme alle fiabe della buona notte, sono il primo contatto con la letteratura, sono un fondamentale pilastro della nostra cultura. Se avremo un buon libro di testo, con brani appassionanti, o intressanti, cresceremo in modo migliore.

Un paio di giorni fa, mio fratello, lettore di soli fumetti, è tornato a casa con la sua antologia tra le mani e una strana luce negli occhi. Poco prima aveva letto un brano di Poe che lo aveva colpito nel profondo... ("Questo qui è completamente pazzo! LEGGI! Leggilo anche tu! E' davvero fuori")

Questo è quello che dovrebbe succedere, almeno una volta, a chi ha una buona antologia.
Perchè conoscere le vite degli scrittori e le varie epoche della letteratura è sicuramente importante, ma appassionarsi ed arrivare a leggere in modo spontaneo, per me, vale mille volte di più.

20.09.2014 13:53
Ho ancora addosso
il profumo d’estate
che sa
di vento e di sole
di sabbia e di mare
quando il vento comincia a portare
la fresca brezza autunnale.

 

13.09.2014 13:27

Inglese, vanitoso e antipatico, intelligentissimo e intuitivo. Vi ricorda qualcuno?
Certo Sherlock Holmes e frate Guglielmo da Baskerville ( e il Dottore) hanno molti punti in comune, l'uso di droghe tra gli altri, non per niente il secondo è un chiaro omaggio al primo. Ma Eco non si è ispirato solo all'investigatore di Doyle per il suo personaggio,  infatti il nome Guglielmo deriva da quello di Guglielmo da Ockham da cui l'autore prende un sacco di idee che fa poi pronunciare al frate, il quale avrà la stessa morte del filosofo a cui è ispirato.

Ne "Il nome della rosa" di Umberto Eco si racconta non solo di un giallo, come potrebbe far pensare il film, ma anche di una complessa mediazione tra l'avido papa di Avignone e i poveri francescani.
E Guglielmo lavora su entrambi i fronti, che poi forse non sono altro che la stessa battaglia osservata da due punti di vista differenti: La lotta contro la chiusura della chiesa.

Perchè, tra la delegazione pontificia, che vuole dimostrare che Gesù era ricco per poter scomunicare i Francescani che li mettono in cattiva luce con la loro devota povertà, e i misteri racchiusi dalla biblioteca da un bibliotecario che non vuole altro che rinchiudere il sapere. Non distruggerlo, solo tenerlo lontano da chi potrebbe fraintenderlo...

Guglielmo perderà entrambe le battaglie, anche per vanità, sapendo che ha ragione certo, e il suo principale rimpianto sarà non aver salvato i libri che tanto amava, quasi più del paradiso...

07.09.2014 13:39

[...] Per non lasciarmi mettere in soggezione dal tema [la Resistenza] decisi che lo avrei affrontato non di petto ma di scorcio.
Tutto doveva essere visto dagli occhi di un bambino, in un ambiente di monelli e vagabondi.
Inventai una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse l'aspro sapore, il ritmo...

E' così che Calvino parla del suo libro nella presentazione che è stata aggiunta dall'edizione del '64 in poi. Questo è il suo primo romanzo, scritto per ricordare le sue avventure in quell'anno da partigiano. Lui stesso lo definisce un libro impegnato, e io sono d'accordo, ma per motivi decisamente diversi dai suoi.

Io non credo che il tema più importante di questo libro sia la guerra, come ho già scritto altre volte mi è molto caro il tema dell'amicizia, e Pin non è solo un bambino che entra in un reparto della Resistenza, per me è soprattutto un bambino che cerca "il Grande Amico a cui far vedere dove fanno i nidi i ragni". Quello che ha reso veramente speciale questa storia ai miei occhi è il senso d'inadeguadezza di Pin, il suo sentirsi a disagio coi grandi e coi piccoli e quello di non avere nessuno che gli voglia bene davvero.

E così io vengo affascinata dai sentimenti in un racconto di guerra, è la mia mania di fare tutto al contrario, invece di riflettere sul tradimento di Pelle, sul modo ineluttabile con cui il Dritto vede il destino, sul non accettare la realtà di Mancino o sulla vita da puttana della Nera di Carruggio Lungo e sul modo in cui fratello neanche ci fa caso, penso a questo bambino vagabondo e a come trova un unico amico, l'unica persona amica al mondo.

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